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mercoledì 8 agosto 2012

Sbatti il mostro in prima pagina

Preferisco ricordarlo così.
Una volta di più, esco per qualche istante dal mio orticello del motociclismo, per parlare delle mie impressioni sulla conferenza stampa di Alex Schwazer, il maratoneta trovato positivo al controllo anti doppig.

Alex ha messo in riga tutti, era il grande accusato, ma a me è parso più il grande accusatore.

Accusatore di un mondo, quello dello sport moderno, così estremo da rendere impossibile una carriera a chi non sacrifica tutto, e dico tutto, nella vita. Uno sport fatto di lacrime e sudore, non quelle piante mentre si taglia il traguardo per primi, ma quelle versate ogni giorno, ricollegandosi indirettamente alle parole della Cagnotto che ieri sera, ospite della RAI, spiegava che lei si allena poco più di sei ore al giorno, sei giorni su sette per un totale di 80/100 tuffi al giorno.

E poi c'è la paura di fallire, la paura di non essere all'altezza e delle critiche tanto feroci quanto sono state grandiose le lodi nel momento della vittoria, perché lo sport è anche quello: sei Dio quando vinci, sei uno scoppiato, un finito, nel momento in cui non lo fai. E come lui di esempi ce ne sono tanti, troppi, dalla Pellegrini nel nuoto a Valentino Rossi nella MotoGP.

Siamo il popolo degli estremi: o vinci o sei una nullità, perché fa paura essere umani, fa paura non essere speciali, perché a noi piccoli ometti che vivono il sogno degli altri nello schermo della televisione, fa paura che i nostri eroi falliscano, perché sarebbe di riflesso il nostro fallimento.

In tutto questo irrompe un giornalismo da periodico scandalistico, che tratta tutto con una semplicità e superficialità che ti aspetteresti al massimo da un bambino di sei anni e che in quella conferenza stampa Alex ha zittito chiedendo loro la risposta a certe domande così insulse da sembrare fatte più per aprire bocca che per capire veramente come si sono svolti i fatti e quali sono state le motivazioni più intime che hanno portato un atleta che, volente o nolente, è stato un eroe degli uomini qualunque come me, che hanno vissuto con lui le lacrime di gioia nel tagliare per primo il traguardo olimpico, ma che non c'erano quando piangeva per la fatica degli allenamenti, che non c'erano quando leggeva le critiche dei giornalisti al minimo cedimento delle sue prestazioni e che, forse troppo semplicisticamente, oggi lo criticano ferocemente per lo sbaglio che ha fatto.

Alex si squalifica a vita: non tornerà più allo sport, quanti di noi sono stati così duri con se stessi dopo un errore? Perché guardatevi allo specchio e dite a voi stessi che non avete mai sbagliato: vi starete mentendo.

Eppure siamo tutti qui, chi più chi meno, a criticare lui, ma saremmo pronti a perdonare noi stessi in un lampo.

Alex Schwazer se ne va, non dalla porta di servizio nascondendo la faccia per la vergogna, ma a testa alta dalla porta principale anche se con l'umiltà di un uomo che ha fatto un errore, che ne ha affrontato le conseguenze e ne pagherà lo scotto, lasciando al contempo un messaggio pesante: se non ci fossero le squadre sportive di Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e via dicendo, non ci sarebbe lo sport agonistico in Italia e forse è questo il punto più preoccupante per tutti, ma i giornali si occuperanno solo del suo errore, gli errori del management sportivo italiano non li vedranno, perché è politicamente scorretto criticare certe persone e allora vai, sbatti il mostro in prima pagina e avanti così, pronti a criticare il prossimo atleta che farà un passo falso, comodamente seduti in sala stampa o sul divano di casa, senza sapere cosa sia il vero sacrificio di chi fa sport per vivere.

Baci,
UsuL.

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